Mese: Novembre 2017

L’amministratore rimborsa la transazione non autorizzata

Al rapporto tra i condòmini e l’amministratore sono applicabili le regole del mandato con rappresentanza (lo dicono anche le Sezioni unite della Cassazione con la sentenza 9148/2008).

Più in particolare l’incarico conferito all’amministrazione è assimilabile a un mandato a contenuto generale, abbracciando tutti gli affari attinenti alla gestione condominiale, fatta esclusione per gli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione.

Tra gli atti di straordinaria amministrazione rientra senza dubbio la transazione, cioè quel contratto finalizzato a risolvere una controversia, presente o anche solo potenziale, mediante reciproche concessioni dei contraenti e che comporta quindi la disposizione dei diritti delle parti. È quindi necessaria una preventiva e specifica autorizzazione da parte dell’assemblea condominiale.

Nell’ipotesi in cui l’assemblea non abbia definito con esattezza tutti i termini dell’accordo, limitandosi invece a prevedere le regole da seguire in sede di trattative, l’amministratore è tenuto ad attenersi scrupolosamente a tali criteri non potendo, per esempio, formulare autonomamente una proposta transattiva se l’assemblea abbia invece previsto l’obbligo di preventiva consultazione di una commissione di condòmini all’uopo nominata.

tale soluzione è giunto il Tribunale di Milano nella recente sentenza 5021/2017,nell’ambito della quale è stato evidenziato anche come il non puntuale rispetto della procedura dettata in sede assembleare configuri inadempimento dell’amministratore all’obbligo di eseguire le delibere condominiali (articolo 1130 del Codice civile).

La transazione eventualmente formalizzata in violazione dei confini dettati dall’assemblea è un atto esorbitante i limiti del mandato con la conseguenza che, in mancanza di successiva ratifica dell’accordo da parte del condominio, i relativi obblighi rimangono in capo all’amministratore stesso, in base all’articolo 1711 del Codice civile. Se però la transazione sia già stata eseguita e il relativo obbligo assunto dall’amministratore risulti ormai estinto con risorse del condominio, l’amministratore risulterà soggetto all’azione risarcitoria da parte dei singoli condòmini interessati.

Nella quantificazione del relativo danno il giudice meneghino ha ritenuto superflua ogni valutazione in merito all’opportunità o meno a transigere la vertenza alle condizioni individuate dall’amministratore, ritenendo invece il danno immediatamente identificabile nell’intera spesa affrontata dal condominio. La domanda svolta da un solo condomino può tuttavia essere accolta nei limiti dell’esborso economico da quest’ultimo affrontato, con conseguente condanna dell’Amministratore a risarcire la sola quota millesimale di competenza del condomino andato in giudizio.
© RIPRODUZIONE RISERVATA  di Raffaello Stendardi

Le dimissioni volontarie dell’amministratore di condominio

A volte, per problemi organizzativi o personali, l’amministratore rassegna le proprie dimissioni al Condominio, non potendo più svolgere l’incarico
Possono essere rilasciate verbalmente, nel corso di un’assemblea, o per iscritto.
La lettera di dimissioni dell’amministratore di condominio è una comunicazione, inoltrata a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento, con la quale l’amministrazione scriverà al condominio, quindi a sé stesso –per cautela a tutti i condomini- quale amministratore in carica, esprimendo la propria decisione di dimettersi dall’incarico e indicando le motivazioni, che non dovranno essere generiche ma specifiche, che lo spingono a tale decisione. Quindi, una volta ricevuta la comunicazione, dovrà essere indetta una assemblea di condominio, affinché i condomini possano discutere sul merito della vicenda e nominare un nuovo amministratore di condominio
Con le dimissioni,  il mandatario dello stabile intende cessare il rapporto prima della sua scadenza. L’assemblea dei condomini non è chiamata a decidere in merito ma solo a recepirne il contenuto per poi procedere alla deliberazione di approvazione di un nuovo mandatario.
La decisione della riunione dell’edificio attiene pertanto esclusivamente alla nomina di un nuovo amministratore, deliberazione da assumersi sia in prima convocazione, sia in seconda, con le maggioranze prescritte dall’art. 1136 secondo comma, dopo aver dato atto e verbalizzato le dimissioni del precedente amministratore.
Qualsiasi sia la causa che spinge l’amministratore a dare le proprie dimissioni, le stesse non possono essere immediate, salvo il risarcimento di eventuali danni che le sue dimissioni immediate potessero causare. Esiste l’istituto della prorogatio imperii sulla cui base finchè non viene incaricato un nuovo mandatario, il precedente continua nelle sue attribuzioni.
Per prorogatio si intende la prosecuzione nella carica di amministratore in via provvisoria (o ad interim) proprio per sottolineare una situazione provvisoria che andrà a risolversi in futuro.
La Cassazione rileva che l’istituto della prorogatio imperii è applicabile in ogni caso in cui il condominio rimanga privato dell’opera dell’amministratore, e pertanto non solo nei casi di scadenza del termine di cui all’articolo 1129, secondo comma, del Codice civile, o di dimissioni, ma anche nei casi di revoca o annullamento per illegittimità della relativa delibera di nomina (Cassazione, sentenze 1405/2007, 18660/2012 e 14930/2013). Il Supremo Collegio afferma simultaneamente che l’amministratore uscente conserva provvisoriamente i suoi poteri e può continuarli ad esercitare fino a che non venga sostituito da altro amministratore. (Cassazione, sentenza 1445/1993)
Com’è noto, il rapporto di lavoro che lega l’amministratore al condominio è un contratto di mandato, come ha più volte determinato la giurisprudenza, e anche recentemente la Cassazione a Sezioni Unite n. 9148/08.
E’ chiaro e importante ricordare che, nell’adempimento del proprio incarico, l’amministratore di condominio deve rispettare tutte quelle norme che regolano il contratto di mandato e tra queste l’articolo 1722 c.c., che indica, tra le cause di estinzione del mandato, la rinunzia da parte del mandatario.
Inoltre occorre porre a mente che con l’art. 1727 c.c., l’amministratore non potrà rinunciare senza una giusta causa; spetta alla giurisprudenza definire nello specifico se la causa di dimissioni dell’amministratore condominio sia o meno considerabile giusta: nel caso non sia presente una giusta causa di rinuncia, dovrà risarcire eventuali danni causati al mandante.
La Suprema Corte così si esprime: “l’amministratore di un condominio, anche dopo la cessazione della carica per scadenza del termine di cui all’articolo 1129 c.c. o per dimissioni, conserva ad interim i suoi poteri e può continuarli ad esercitare fino a che non sia stato sostituito da altro amministratore. Ma tale principio – nell’elaborazione giurisprudenziale, in che trova propriamente la sua genesi (in difetto di esplicita enunciazione normativa) – si giustifica in ragione di una presunzione di conformità, di una siffatta perpetuatio di poteri dell’ex amministratore, all’interesse ed alla volontà dei condomini” (Cass. n. 1445/1993). Affermazione ribadita nel tempo: “in tema di condominio di edifici, l’istituto della ‘prorogatio imperii’ – che trova fondamento nella presunzione di conformità alla volontà dei condomini e nell’interesse del condominio alla continuità dell’amministratore – è applicabile in ogni caso in cui il condominio rimanga privato dell’opera dell’amministratore, e pertanto non solo nei casi di scadenza del termine di cui all’art. 1129, secondo comma, c.c., o di dimissioni, ma anche nei casi di revoca o annullamento per illegittimità della relativa delibera di nomina”. (Cass. n. 1405/2007; Cass. n. 18660/2012; n. 14930/2013).
Anche in presenza di giusta causa, comunque, in adempimento del principio di buona fede nell’adempimento dei contratti, l’amministratore è comunque tenuto a gestire l’ordinaria amministrazione del condominio, finché l’assemblea di condominio non abbia nominato un nuovo amministratore. Se l’assemblea di condominio non provvedesse alla nomina, l’amministratore dimissionario può adire le vie giudiziali per chiedere la nomina di un amministratore giudiziario ex art. 1129 primo comma c.c.
A norma dell’art. 1129 ottavo comma c.c. alla cessazione dell’incarico, è tenuto a consegnare tutto ciò che è in suo possesso afferente al condominio e ai singoli condomini e ad eseguire le attività urgenti al fine di evitare pregiudizi agli interessi comuni senza diritto ad ulteriori compensi.
In questa sede viene redatto il cd. verbale di consegne che viene sottoscritto dall’amministratore cessato e da quello neo-nominato. Questo verbale è un negozio di accertamento di quanto viene dato al nuovo amministratore con riferimento al condominio
l’amministratore revocato deve far pervenire tempestivamente e spontaneamente al nuovo amministratore tutta la documentazione in suo possesso che detiene unicamente nella sua veste di mandatario e che è di esclusiva pertinenza del mandante” (Trib. Milano Sez. V, 24-01-2008)
l’inottemperanza all’obbligo di consegna legittima il nuovo amministratore ad agire in giudizio, nella veste di legale rappresentante del condominio, al fine di ottenere la condanna del vecchio amministratore alla esecuzione specifica dell’obbligo” (Trib. Milano Sez. VIII, 30-04-2005) nonché comporta la legittimazione in capo al condominio all’azione di risarcimento del danno (Trib. Milano Sez. XIII, 03-04-2008).
Ove il precedente mandatario non vi provvedesse, si può agire in sede giudiziale con l’azione cautelare per ottenere il provvedimento d’urgenza di consegna della documentazione afferente al condominio
“… a seguito dell’adozione della delibera di revoca l’amministratore è tenuto, tra l’altro, a restituire ogni cosa di pertinenza del condominio, senza che per l’inottemperanza a tale obbligo si debba fare ricorso al Tribunale a norma dell’ultimo comma dell’art. 1105 c.c., potendosi legittimamente richiedere l’adozione di un provvedimento di urgenza a norma dell’art. 700 c.p.c.” (Cass.: 11472/1991. Nello stesso senso: Trib. Civ. Ariano Irpino 24 aprile 2007; Trib. Roma, ord. 7 dicembre 1998; Pret. Milano 28 marzo 1990). Lo stesso vale per il caso del mandatario a dimissioni rese con nomina del nuovo amministratore
Il ricorso ex art. 700 c.p.c. può essere legittimamente esperito dall’amministratore condominiale “anche in assenza di una delibera assembleare di autorizzazione” (Cfr.: Trib. Salerno 3 ottobre 2006).
© RIPRODUZIONE RISERVATA di Anna Nicola

Auto rimossa dallo spazio comune, il condominio paga i danni

Rimuovere le autovetture in “sosta vietata” da uno spazio condominiale può risultare controproducente per il condominio e per l’amministratore che ha dato l’ordine. Come nel caso dell’ordinanza 25527 del 2017 della Cassazione (relatore Antonio Scarpa), che ha trattato un caso in cui una condòmina aveva citato in giudizio il condominio e l’amministratore per il risarcimento dei danni, quantificati in euro 3.777,60, oltre interessi, subiti dalla propria autovettura rimossa, in esecuzione di una deliberazione assembleare, da un’area condominiale ed abbandonata sulla via pubblica, dove era stata oggetto di danneggiamento ad opera di terzi.
La domanda, rigettata dal Tribunale, veniva parzialmente accolta dalla Corte d’Appello la quale affermava che l’amministratore non avrebbe comunque potuto procedere personalmente alla rimozione coattiva dell’autovettura. Tuttavia, pur dichiarando illegittima la condotta dell’amministratore, sosteneva che non sussistevano prove del danno patrimoniale subito dalla condòmina le quali potessero essere casualmente e direttamente riconducibili alla condotta posta in essere dalla parte appellata.
Ricorrendo in Cassazione, la stessa condòmina denunciava che la Corte d’Appello non aveva chiarito la motivazione per la quale non era stata valutata la esibita documentazione fiscale della carrozzeria e la testimonianza dello stesso carrozziere sui danni subiti dall’autovettura e sui costi di riparazione.
La ricorrente, inoltre, criticava la mancata motivazione sull’esistenza del nesso causale tra la condotta illecita dell’amministratore, che aveva rimosso ed abbandonato l’auto sulla strada pubblica, ed il danneggiamento subito dalla stessa. Danneggiamento che non si sarebbe verificato se il veicolo fosse rimasto all’interno dell’area privata condominiale. I controricorrenti evidenziano che l’autoveicolo era stato immatricolato nel 1994, ed aveva un valore di mercato di euro 100,00 – valore dedotto dai listini di riviste specializzate dei settore automobilistico – , sicché la riparazione risultava comunque antieconomica. Per la Cassazione, la sentenza di secondo grado denotava un’anomalia motivazionale in forma di “motivazione apparente”, in quanto la Corte di merito aveva omesso del tutto l’indicazione degli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento, rendendo impossibile ogni controllo sull’esattezza del suo ragionamento e sul diniego della sussistenza di un nesso di causalità, materiale e giuridica, che leghi l’accertata condotta illecita dell’amministratore e i danni che si sono pretesi conseguenti.
La Corte ha, perciò, accolto il ricorso, cassando la sentenza impugnata e rinviandola ad un’altra sezione della Corte d’Appello, che deciderà tenendo conto dei rilievi svolti e regolerà anche le spese del giudizio di cassazione.
© RIPRODUZIONE RISERVATA  di Valeria Sibilio

Ascensore, incidente imprevedibile senza colpa

La condotta negligente della vittima non sempre esclude la responsabilità del custode. E La Cassazione (sentenza 25837 depositata ieri, relatore Marco Rossetti) interviene sulla complessa questione della responsabilità del condominio in caso di incidente per il dislivello tra ascensore e piano.

La responsabilità del custode, in base all’articolo 2051 del Codice civile, può essere esclusa, oltre che dalla “forza maggiore”, anche dal “caso fortuito”, il quale ben può essere rappresentato dalla condotta tenuta dalla vittima dell’incidente, causa che può costituire una concausa del danno o anche causa esclusiva dello stesso.

Tuttavia ciò non significa che, una volta accertata la condotta negligente della vittima, il diritto al risarcimento del danno debba essere automaticamente ridotto o negato.

Infatti la condotta negligente, distratta, imperita o imprudente della vittima non integra necessariamente il caso fortuito, atteso che, il custode, per superare la presunzione di colpa deve, in ogni caso, dimostrare di aver fatto tutto il possibile per evitare i danni derivanti dalla cosa. Quindi, per escludere la responsabilità del custode è necessario l’accertamento sia della condotta negligente del danneggiato, ma anche dell’imprevedibilità di quella stessa condotta da parte del custode.

Questo, in sintesi, il principio di diritto espresso dalla Corte di Cassazione.

La vicenda giudiziaria trae origine dalla richiesta di risarcimento danni per responsabilità da cose in custodia, avanzata da un condomino inciampato nel dislivello formatosi tra il pavimento della cabina dell’ascensore e quello del piano di arresto. In primo grado la domanda veniva respinta e la Corte d’Appello di Milano confermava il rigetto poiché il dislivello «non poteva rappresentare una insidia», bensì una situazione «ricorrente e prevedibilissima» la vittima era tenuta a «verificare il piano di calpestio che va ad impegnare».

La Corte di Cassazione, invece, cassando con rinvio, premette che la «condotta imprevedibile della vittima non è necessariamente una condotta colposa, né è vero il contrario»,

Conseguentemente, il solo accertamento della condotta negligente della vittima «non basta di per sé ad escludere la responsabilità del custode», dovendosi al riguardo accertare «(a) che la vittima abbia tenuto una condotta negligente; (b) che quella condotta non fosse prevedibile». Nel caso di specie, per la Cassazione, «la Corte d’Appello ha reputato sussistente una ipotesi di caso fortuito prendendo in esame unicamente la condotta della vittima, qualificata come negligente, ma senza esaminare se quella condotta potesse ritenersi imprevedibile, eccezionale od anomala da parte del custode», così violando l’articolo 2051 del Codice civile. E nel nuovo esame la Corte d’appello dovrà applicare questo principio: «La condotta della vittima del danno causato da una cosa in custodia può costituire un “caso fortuito”, ed escludere integralmente la responsabilità del custode ai sensi dell’art. 2051 c.c., quando abbia due caratteristiche: sia stata colposa, e non fosse prevedibile da parte del custode».
© RIPRODUZIONE RISERVATA – di Paolo Accoti – Sole24ore