Giorno: 24 Ottobre 2017

Quando si vende la pertinenza il vincolo con il bene principale si scioglie

L’acquisto di un immobile in un’asta giudiziaria può risultare conveniente, specie in momenti contingenti di crisi economica. Tuttavia, a volte, questo può generare problematiche a cui si perviene ad una soluzione solo per via giudiziaria.
Il caso esaminato dalla Cassazione, con ordinanza 24432 del 2017 (relatore Antonio Scarpa), tratta di un condòmino che domanda l’inefficacia del contratto di compravendita , intercorso tra due compratori e un venditore, avente per oggetto una mansarda sovrastante l’appartamento acquistato dall’attore in una procedura di vendita giudiziaria, deducendo il legame di pertinenzialità tra i due beni.
Il Tribunale affermava che gli atti pubblici prodotti comprovassero che la mansarda fosse sempre appartenuta a soggetti diversi dai debitori esecutati nel procedimento culminato con la vendita giudiziale, cioè dapprima che fosse stata acquistata dal costruttore che, in seguito, aveva disposto, per testamento, in favore di due ulteriori signori. Il Tribunale negava, perciò, che emergesse dagli atti di proprietà la destinazione della mansarda a servizio dell’appartamento poi acquistato in sede giudiziale dal ricorrente, così come escludeva il rilievo del fatto che sussistessero una scala interna di collegamento tra i due immobili, nonché condutture comuni. Lo stesso Tribunale evidenziava come il pignoramento della procedura esecutiva immobiliare avesse riguardato il solo appartamento aggiudicato al ricorrente, essendosi limitato il perito incaricato della stima del bene ad evidenziare la presenza della scala di collegamento. Per il ricorrente, il Tribunale avrebbe negato il vincolo pertinenziale, senza accertare la preesistenza e persistenza della scala interna di collegamento e dell’impianto idrico comune che conclamavano il rapporto di utilità funzionale tra i due immobili. Inoltre, non sarebbe stato accertato se al momento della vendita dell’appartamento fosse stata espressamente esclusa la mansarda.
Per la Cassazione, il ricorso è risultato infondato, in quanto fondato sull’errato presupposto che potesse ravvisarsi il vincolo di subordinazione tra la mansarda e l’appartamento. La costituzione del vincolo pertinenziale rende necessario non soltanto la materiale destinazione del bene accessorio ad una relazione di complementarietà con quello principale, ma anche l’effettiva volontà del titolare del diritto di proprietà, o di altro diritto reale di godimento, sui beni collegati, in quanto soltanto chi abbia la piena disponibilità giuridica di entrambi i beni può attuare la destinazione della “res” al servizio o all’ornamento del bene principale, occorrendo altrimenti un rapporto obbligatorio costituito tra i rispettivi proprietari.
Grava sul compratore del bene principale, che rivendichi la proprietà del bene secondario, l’onere di provare la sussistenza di un rapporto pertinenziale e quindi anche la destinazione a pertinenza attuata dall’unico proprietario del bene principale e di quello accessorio. I1 Tribunale aveva accertato che l’unico comune proprietario originario dell’appartamento e della mansarda avesse separatamente venduto quest’ultima con atto pubblico al signore che ne aveva disposto, per testamento, ad altri.
Per effetto di tale atto volontario di disposizione separato della mansarda, anteriore alla vendita della cosa principale, era quindi in ogni caso venuto meno ogni vincolo pertinenziale tra la mansarda stessa e l’appartamento acquistato. La Cassazione ha, perciò, rigettato il ricorso, condannando il ricorrente a rimborsare ai controricorrenti le spese sostenute nel giudizio di cassazione, liquidate in complessivi euro 3.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Fonte: Sole24Ore

La polizza non si paga se la cassa è vuota

ell’equilibrio delle competenze in ambito condominiale, spesso ci si domanda, relativamente ai rapporti tra amministratore e condominio, quale dei due è subordinato all’altro. Una questione che, seppur prevalentemente teorica, investe anche la realtà quotidiana, generando non raramente, problematiche che trovano soluzione per vie giudiziarie. Nell’ordinanza 24920 del 2017, la Cassazione ha esaminato un caso in cui il Tribunale di primo grado aveva accertato la responsabilità dell’ex amministratore di condominio per il tardivo pagamento di un premio di una polizza assicurativa. Lo stesso Tribunale rigettava la domanda risarcitoria, proposta dal Condominio nei confronti dell’ex amministratore, per i danni derivanti dalla mancanza di copertura assicurativa in relazione ad un incendio del tetto, condannando il convenuto a rimborsare, all’attore, la metà delle spese processuali.
Ricorrendo in Appello, la Corte accoglieva l’impugnazione incidentale dell’ex amministratore, dichiarandolo esente da responsabilità contrattuale, in quanto la mancanza di fondi nelle casse condominiali era stata determinata proprio dalla morosità dei condòmini. L’ex amministratore, inoltre, aveva inviato ai suddetti condòmini numerosi solleciti di pagamento. Motivo, questo, sufficiente ai fini dell’adempimento dei propri obblighi derivanti dal mandato, non essendo tenuto né ad anticipare le somme occorrenti per il pagamento della polizza assicurativa, né obbligato a ricorrere alla procedura monitoria per esigere i pagamenti delle quote.
Il Condominio motivava il proprio ricorso in Cassazione – al quale l’ex amministratore resisteva con controricorso – richiamando il principio della diligenza del mandatario che avrebbe imposto il ricorso alla procedura monitoria per il recupero dei contributi necessari alle spese condominiali.
Per gli ermellini, il ricorso è risultato infondato, in quanto l’amministratore ha, nei riguardi dei partecipanti al condominio, una rappresentanza volontaria. Ragione per cui, i suoi poteri sono quelli di un comune mandatario, conferitigli sia dal regolamento di condominio, sia dalla assemblea condominiale. La Corte d’appello aveva accertato che l’ex amministratore aveva più volte sollecitato, anche per iscritto, i condòmini morosi al versamento delle quote condominiali, avendo solo la facoltà e non l’obbligo di ricorrere all’emissione di un decreto ingiuntivo nei riguardi dei condòmini morosi. Per questa motivazione, non meritava censura la decisione impugnata laddove escludeva la violazione dell’obbligo di diligenza, in quanto l’ex amministratore si era attivato nella raccolta dei fondi ed aveva comunque messo in mora gli inadempienti.
La Cassazione ha, pertanto, respinto il ricorso ponendo le spese a carico della parte soccombente, liquidabili in euro 2.200,00 di cui euro 200,00 per esborsi, dichiarando, inoltre, la sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Fonte: Sole24Ore